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Il meccanismo epilatorio dei sistemi laser e/o a luce pulsata si avvale del principio della fototermolisi selettiva, cioè della distruzione di un bersaglio (riconosciuto come tale esclusivamente in base al colore) all’interno di un tessuto mediante l’utilizzo del calore indotto dai fotoni di luce assorbiti.
Il termine LASER è l’acronimo di Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation. La luce che tale apparecchio emette ha quattro caratteristiche fondamentali: monocromaticità (possiede una sola lunghezza d’onda), coerenza (tutti i fotoni emessi vibrano in concordanza di fase fra loro, ossia sono in fase), direzionalità (la direzione è unica e certa con divergenza minima, ossia è collimata), brillanza (rappresenta la potenza emessa per unità di superficie). Il tipo di materiale che costituisce il mezzo attivo determina la lunghezza d’onda del laser e di conseguenza la tipologia cromatica di bersaglio aggredibile (cromoforo). Quello a CO2 ha una lunghezza d’onda uguale a 10600 µm; quello ad Alessandrite uguale a 790 µm; quello ad Argon uguale a 525 µm; quello a Neodimio YAG (a ittrio-alluminio-granato) uguale a 1064 µm; ecc.).
Semplificando ogni lunghezza d’onda ha un colore bersaglio: intorno a 532 µm abbiamo il colore rosso, intorno a 1064 µm abbiamo il blu scuro e il nero. In conclusione i laser ad Alessandrite e/o a Neodimio YAG si utilizzano per l’epilazione dei peli scuri e non funzionano assolutamente sui peli chiari. Infatti per i peli biondi, che contengono comunque un po’ di melanina, occorre aumentare i parametri d’uso.
L’acronimo utilizzato per indicare i sistemi a luce pulsata intensificata è IPL che deriva da Intense Pulsed Light. Tali sistemi funzionano grazie all’erogazione di un flash di luce emesso da una lampada allo Xenon. Questa comprende tutte le lunghezze d’onda da 500 a 1200 µm. Ponendo a valle della lampada degli appositi filtri, si possono selezionare diverse gamme d’onda specifiche per agire su un determinato colore-bersaglio. Con una lunghezza d’onda intorno a 500 µm si va ad agire sulla componente rossa vascolare (capillari, angiomi ecc.), oltre 550 µm e fino a 900-1200 µm si va ad operare su componenti scure come peli neri o macchie ipercromiche cutanee.
Tecnicamente l’IPL non è, quindi, un laser nel senso che i fotoni non hanno tutti la stessa lunghezza d’onda e la luce emessa è policromatica, non coerente e non collimata. Tali carat-teristiche permettono, variando i parametri di uno stesso apparecchio, di trattare diverse lesioni cutanee che vanno dagli inestetismi vascolari ai disturbi della pigmentazione, fino al trattamento dell’irsutismo e dell’ipertricosi.
Per l’emissione della luce pulsata si possono usare degli spots rettangolari della larghezza variabile da 10 x 50 mm, fino a 20 x 50 mm. I fotoni di luce raggiungono gli starti più profondi del follicolo pilifero, vengono assorbiti in maniera selettiva dalla melanina causando la distruzione termica del follicolo pilifero. La densità di energia necessaria per tale operazione dipenderà dal fototipo cutaneo e dalle caratteristiche del pelo (colore, diametro e profondità). Per tale motivo prima di iniziare con l’epilazione mediante IPL è necessario, preventivamente, analizzare la regione cutanea da trattare.
Un principio tecnico fondamentale per evitare ustioni è quello di evitare di sovrapporre gli impulsi luminosi (spots). La superficie del manipolo viene appoggiata con l’interposizione di uno strato di gel trasparente e rinfrescante che migliora la conduzione della luce e contribuisce al raffreddamento della cute non tanto per il fatto di essere a bassa temperatura ma perché sfrutta il principio fisico dall’evaporazione della sua componente acquosa sottraendo in questo modo calore.
Alcuni sistemi di IPL prevedano il costante raffreddamento della cute con un ricircolo di acqua fredda o con un getto di aria fresca. Per questo gli spots devono essere non unici ma a «treni», cioè una serie ravvicinata di flash intervallati da pause più o meno lunghe che permettano alla cute di raffreddarsi. Tale principio, fondamentale per evitare ustioni, tiene conto del cosiddetto «tempo di rilassamento termico» ossia del intervallo temporale necessario ad un tessuto surri-scaldato per disperdere il 50% del suo calore attraverso fenomeni diffusivi. Ovviamente se la durata della pulsazione è più breve del tempo necessario allo strato cutaneo surriscaldato a raffreddarsi si può avere un danno termico. Questo può variare da un minimo scollamento cutaneo, nelle zone più intensamente arrossate, che porta alla formazione di micro-vescicole sino a delle e proprie ustioni con presenza di vescicole sub-epidermiche a contenuto sieroso chiamate flittene. Le conseguenze di tali lesioni sono variabili a seconda dell’entità e dell’aggressività dell’insulto termico e possono portare a delle transitorie discromie cutanee sino a delle lesioni cicatriziali.
È da sottolineare come il corretto impiego di strumenti elettronici che vanno ad interagire fisicamente con un tessuto biologico, modificandone alcune caratteristiche, non può prescindere dall’acquisizione di specifiche competenze tecniche in assenza delle quali è impossibile lavorare in sicurezza. Infatti ignorando la potenziale pericolosità del mezzo e delle lesioni che questo può causare, se non correttamente impiegato, è facile commettere degli errori che se non conosciuti non solo non possono essere evitati, ma neanche limitati.